Cosa succede se una delle due parti si tira indietro dal compromesso? Quali sono le conseguenze?

Una delle domande che sorgono spontanee a fronte dell’acquisto di un immobile è: si può annullare un contratto preliminare di vendita?  

Il quesito è doveroso visto che gli imprevisti sono sempre (e purtroppo) dietro l’angolo, perciò diventa fondamentale capire come fare per tutelarsi in caso di necessità, soprattutto quando si parla di somme importanti come quelle legate all’acquisto di una casa.  

Vediamo allora insieme che cosa prevede la legge italiana, quali sono i casi possibili e come comportarsi nelle varie situazioni.  

Definizione e normative 

Prima ancora di addentrarci nei dettagli delle normative, definiamo che cos’è questo tipo di contratto che segue la proposta di acquisto e anticipa il rogito notarile.  

Detto anche compromesso, il contratto preliminare di vendita è un accordo che tutela entrambe le parti coinvolte nell’acquisto di un immobile e le vincola ad un rogito, ovvero alla chiusura della transazione.  

La validità di tale accordo si verifica quando questo viene redatto in forma scritta e soltanto se viene registrato entro 20 giorni presso l’Agenzia delle Entrate. 

Secondo quanto previsto dalla Legge, si può richiedere legittimamente l’annullamento del compromesso nei seguenti casi:  

  • in presenza di vizi, come il dolo, il raggiro, la violenza fisica o psicologica;  

  • in caso di incapacità di una delle due parti stipulanti;  

  • se la forma del contratto non corrisponde a quella del contratto definitivo, così come previsto dall’art.1351 del Codice Civile.  

Recedere dal compromesso: come fare? 

Ma cosa accade se è soltanto una delle due parti a voler recedere dal preliminare di vendita?  

In questo caso gli scenari possibili sono due. 

Il primo, quello più semplice, è il caso in cui entrambe le parti riescano a raggiungere un’intesa per l’annullamento del contratto procedendo così con la risoluzione consensuale: venditore e acquirente firmeranno a loro volta un nuovo accordo (detto accordo di risoluzione consensuale) nel quale verranno stabiliti i termini e le condizioni dell’annullamento, tra cui anche la gestione della caparra versata al momento della firma del compromesso.  

Se, invece, non si riesce a trovare un’intesa ma l’acquirente desidera comunque recedere dal contratto, il venditore può potenzialmente decidere di mantenere la caparra senza doversi rivolgere al giudice, in quanto questa rappresenta una vera e propria tutela in assenza di motivi validi per l’annullamento.  

Altrimenti, il proprietario può decidere di ricorrere al tribunale di competenza per richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno subito.  

Viceversa, se è lo stesso venditore a recedere, allora l’acquirente potrà richiedere la risoluzione del contratto avviando una causa davanti al giudice di competenza che, con una sentenza, può risolvere il contratto e condannare la parte inadempiente al risarcimento dei danni economici e al trasferimento coattivo della proprietà della casa.    

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Luca Malacarne 

Toscana Immobiliare Franchising